Woody Allen – Monologhi

In questo articolo voglio condividere alcuni monologhi di Woody Allen, autore, regista e autore che considero geniale. Oltre a film e sceneggiature, è un grandissimo scrittore teatrale e di racconti che posterò all’interno del portale.

In basso trovate anche un .pdf scaricabile per chi volesse leggersi i testi di Woody Allen su un ebook o un tablet.

Woody Allen 0

“Il primo monologo registrato di Woody Allen”

 

Tit. orig.: ”Woody Allen’s First Recorded Monologue”.

 

Dall’ultima volta che ci siamo sentiti ci sono stati, nella mia vita privata, molti mutamenti significativi, di cui stasera possiamo parlare per, come dire, valutarli. Ho cambiato casa. Comincio dall’inizio. Prima abitavo nell’East Side, a Manhattan, ma venivo continuamente rapinato, aggredito e sadicamente picchiato nelle gengive. Allora mi sono trasferito in un palazzo di Park Avenue, uno di quei palazzi col portiere in livrea, sorvegliatissimo, costosissimo e magnifico. Ci abitavo da due settimane quando sono stato aggredito dal portiere.
Non so cos’altro c’è di nuovo… Ah sì! Dall’ultima volta che ci siamo sentiti sono diventato una Società in Accomandita. L’anno scorso, ebbi difficoltà col fisico. Volevo dedurre dal reddito imponibile la spesa per lo psicanalista, in quanto “cure mediche”, ma all’Ufficio Imposte Dirette mi dissero che rientrava sotto la voce “divertimenti”. Si arrivò a un compromesso, rubricandola come “contributi religiosi”.

Quest’anno dunque ho fondato una società. Io ne sono il presidente, mia madre ha la vice-presidenza, mio padre ne è il segretario perpetuo, mia nonna il tesoriere. Mio zio è nel Consiglio d’Amministrazione. Si sono coalizzati e hanno cercato di dimissionarmi. Io ho stretto un’alleanza di interessi con lo zio e abbiamo mandato mia nonna in galera.

Mi sono iscritto all’università, per laurearmi in filosofia. Frequentavo corsi di filosofia teoretica, come “Verità e Bellezza” e “Introduzione a Dio”, nonché “Propedeutica alla Morte”. Fui espulso, alla fine del primo anno, perché sorpreso a copiare all’esame scritto di metafisica. Sbirciavo dentro l’anima del mio compagno di banco.

In seguito alla mia espulsione, mia madre – donna molto sensibile – si chiuse in bagno e si fece un’overdose di pedine della dama.

Sono stato in analisi. Questo lo saprete già, sul mio conto. Da giovane, andavo in terapia di gruppo poiché non potevo permettermi una psicanalisi individuale. Fra noialtri nevrotici si disputava un campionato di baseball. Io ero il capitano della squadra dei Paranoici Latenti. Le partite si svolgevano la domenica mattina. Memorabile l’incontro fra Rosicchiatori di Unghie e Piscialletto. Vedere dei nevrotici giocare a baseball è uno spasso. Io, se commettevo un fallo, ero oppresso da  sensi di colpa.

Inoltre, ho un cugino al quale i miei genitori volevano più bene che a me, da piccoli. E questo mi ha distrutto. Laureatosi a pieni voti, mio cugino si mise a fare l’assicuratore.
Si è sposato con una ragazza molto magra e sono andati ad abitare nei sobborghi, dove hanno ogni sorta di status symbols: casa di loro proprietà, automobile, pelliccia di visone, assicurazione contro il furto e l’incendio, assicurazione sulla vita. La moglie ha anche un’assicurazione sull’orgasmo. Se il marito non riesce a soddisfarla sessualmente, la polizza prevede un indennizzo mensile in denaro.

Non so cos’altro dirvi sul mio conto. Ho fatto lo scrittore e l’attore. Scrivevo per la televisione. Per diventare attore frequentai una scuola di recitazione. Come saggio finale demmo Gedeone di Paddy Chayefsky. In Gedeone io facevo la parte di Dio. Mi immedesimai tanto nella parte – secondo i canoni di quella scuola – che la vivevo anche fuori scena. Ero divino. Veramente favoloso. Andavo in giro in doppiopetto blu. Mi spostavo in tassì da un capo all’altro di New York. Davo mance da padreterno, come avrebbe fatto Lui. Una volta litigai con un tale, e lo perdonai. Sul serio. Mi aveva pestato un piede e io gli dissi: “Cresci e moltiplicati!” Ma non mi espressi esattamente così.


 

“Il cuore del Vecchio Mondo”

Tit. orig.: “The Heart of the Old World”.

I miei sono gente all’antica. Vengono da Brooklyn, ch’è come dire Piccolo Mondo Antico. Gente solida, terra-terra, contraria al divorzio. I loro supremi valori sono Dio e la Moquette.
Sono andato a trovarli, una domenica, tanto tempo fa. Mio padre stava guardando alla tivù uno spettacolo ambientato al Manicomio Criminale dell’Indiana.
Mia madre, in un angolo, stava lavorando a maglia un pollo.
Io gli diedi la notizia del divorzio. Mia madre allora posò i ferri da calza. Si alzò, si avvicinò al forno a legna, l’aprì, e ci si infilò dentro. L’aveva presa molto male, credo.


 

“Addomesticare gli elettrodomestici”

Tit. orig.: “Mechanical Objects”
Monologo (“In Downtown Los Angeles”) incluso in The Third Woody Allen Album

Questa non so se l’avete già sentita. Molto tempo fa – è una strana storia – mi trovavo a Los Angeles. Fui invitato a una festa a casa d’un grosso produttore. A quell’epoca c’era in progetto di trarre una commedia musicale dal Sistema Metrico Decimale; e cosi volevano che ci lavorassi io. Mi recai dunque nell’ufficio di quel produttore, al centro di Los Angeles.
Entro in ascensore. Non c’è nessuno. Non ci sono pulsanti né niente. E si ode una voce che dice: “Dica a che piano deve andare, prego”.
Mi guardo intorno. Non c’è nessuno. Sono preso dal panico. Poi vedo un cartello che dice che si tratta di un ascensore di nuovo tipo, che funziona col sonoro. Basta pronunciare il numero del piano cui voglio salire, e lui mi ci porta. Allora dico: “Al terzo, per favore”.
Le porte si chiudono, l’ascensore parte. A questo punto incomincio a sentire un certo impaccio perché io parlo, credo, con un leggero accento newyorkese, mentre l’ascensore non ha nessuna sfumatura dialettale.
Al terzo piano, scendo. Mi avvio per il corridoio e mi guardo indietro. Mi era parso di sentire l’ascensore fare un commento. Allora mi volto rapidamente ma le porte si richiudono subito e l’ascensore ridiscende. Lasciamo perdere… non mi andava di aver a che dire con un ascensore di Los Angeles, a quel tempo… Ma non è questa la parte strana della storia, questa è la parte più o meno normale.
Non ho mai avuto, in vita mia, un buon rapporto con gli oggetti meccanici, di alcuna sorta. Tutto ciò con cui non posso ragionare, che non posso vezzeggiare e coccolare, mi mette in crisi. Ho un orologio le cui lancette si muovono, chissà perché, in senso antiorario. Ho una lampada solare, a raggi ultravioletti, che quando mi stendo per prendere la tintarella, si annuvola e mi piove addosso. Ho un tostapane ch’è un bruciapane. Odio la doccia che ho in casa, perché basta che un, solo cittadino degli Stati Uniti apra l’acqua di casa sua per farmi schizzare fuori tant’è bollente. Ho un registratore a nastro, che m’è costato centocinquanta dollari, e, quando gli detto qualcosa, mi fa: “Lo so, lo so”.
Circa tre anni fa, ne ebbi abbastanza. Una sera convocai tutti i miei apparecchi in salotto, dal primo all’ultimo: tostapane, orologio, frullatore e compagnia bella. E così tenni loro un discorsetto. Fui adorabile. Esordii con una battuta di spirito, poi venni al sodo: “Non so cosa v’è preso, però dateci un taglio”.
Mi rivolsi uno a uno a tutti gli elettrodomestici, per addomesticarli. Fui molto eloquente. Alla fine, provai un gran sollievo.
Due sere dopo, sto lì a guardare la televisione, quand’ecco che il televisore si mette a saltellare su e giù. Mi alzo in piedi e… io parlo sempre prima di colpire… e gli dico: “Credevo di essermi spiegato bene. Qual è il problema?”.
Il televisore seguitava a saltellare. Allora lo colpii, di gusto. Lo picchiai di santa ragione. Gli divelsi l’antenna. Mi sentii molto virile.
Di lì a un paio di giorni, vado dal dentista, nel centro di New York. Anche lì c’è uno di questi ascensori parlanti che mi fa: “Gentilmente, dica a che piano deve andare”. E io: “Al sedicesimo”. Le porte si chiudono e l’ascensore parte. A un certo punto mi fa: “E’ lei quello che ha picchiato un televisore?”.
Mi sentii proprio un fesso, capirete. L’ascensore mi fece andare su e giù. Poi mi riportò giù di furia e mi scaricò nel seminterrato, gridandomi dietro improperi antisemiti.
Ma non è finita li. Quello stesso giorno, telefono ai miei. Mio padre era stato licenziato dalla ditta per cui lavorava da ben dodici anni. Lo avevano sostituito con un apparecchio che faceva tutto quello che faceva lui – solo che lo sapeva fare molto meglio. E non basta ancora. La cosa più deprimente è che mia madre era corsa subito a comprare quell’aggeggio.


 

“Il naufragio di un matrimonio”

Tit. orig.: “I Had a Rough Marriage”.

Vorrei parlarvi del mio matrimonio, che non ha nulla da invidiare al naufragio dell’Andrea Doria. Sì, la mia vita coniugale è stata un inferno. Fatto sta che mia moglie era una donna molto immatura, non aggiungo altro. Basti questo episodio, a riprova della sua immaturità. Io sto facendo il bagno, nella vasca, e lei entra quando le pare, senza neanche chiedere permesso, e mi affonda le barchette.
In parte però è colpa mia, se abbiamo divorziato. Ho sempre avuto, nei suoi confronti, un atteggiamento schifoso. Durante il primo anno di matrimonio, tendevo a porre mia moglie sotto un piedistallo.
Siamo stati un bel pezzo a litigare, a scannarci, e alla fine abbiamo deciso che sarebbe stato meglio prenderci una vacanza o divorziare. Ne abbiamo discusso pacatamente, da persone mature, e abbiamo optato per il divorzio poiché potevamo spendere solo una certa somma. Eppoi, una vacanza alle Bermuda dura due settimane, laddove un divorzio dura tutta la vita.
Già mi vedo libero di nuovo, abitare nel Village da scapolo, in un bell’appartamentino con caminetto, soffici tappeti e, alla parete, un buon Picasso di Van Gogh. Senza contare hostess scatenate, bellissime, che mi scorrazzano intorno.
L’idea mi eccitava moltissimo, e venni dunque al sodo. La misi giù dura. Le dissi: “Quasimodo, voglio il divorzio”.
E lei mi disse: “Va bene, pigliati il divorzio”.
Senonché viene fuori che nello Stato di New York vige una strana legge, per cui non ottieni il divorzio se non fornisci prova di adulterio. Ciò è bizzarro, poiché uno dei Dieci Comandamenti dice: “Non desiderare la donna d’altri”. Sia come sia, lo Stato di New York ti istiga invece all’adulterio.
Si viene così a creare una sorta di tiro alla fune fra Dio e il Governatore.
Ne conseguiva che uno di noi due doveva per forza commettere adulterio. Mi offrii volontario io.
Ma quando sei sposato e fuori dal giro, non sono molte le donne che hai sottomano. L’unica che avevo a tiro era Nancy, la miglior amica di mia moglie. Quindi le telefonai per chiederle se voleva commettere adulterio con me. Mi rispose: “Ma neanche a beneficio del Programma Spaziale”. Il che interpretai come un cauto rifiuto.
Andò a finire che fu mia moglie a commetterlo, per me, un adulterio?. E’ sempre stata più incline di me alla meccanica.


 

“La generazione perduta”

Tit. orig.: ”The Lost Generation”

Ero in Europa, tanti anni fa, con Ernest Hemingway. Hemingway aveva appena scritto il suo primo romanzo e lo diede a leggere a Gertrude Stein e a me. Gli dicemmo che era un buon romanzo ma non un grande romanzo. Aveva bisogno di una ripulitina, poi sarebbe potuto passare. Ci ridevamo e scherzavamo su, e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
A quel tempo, Picasso abitava in Rue de Bacque. Una sera l’andammo a trovare, e aveva appena finito di dipingere un odontotecnico, nudo, nel deserto del Gobi. Gertrude Stein disse che era un buon quadro ma non un grande quadro, e ci mettemmo a ridere, e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
Mi ricordo quando Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda rientrarono da uno sfrenato veglione di Capodanno. Era aprile inoltrato. Scott aveva appena finito di scrivere Grandi speranze. Gertrude Stein e io lo leggemmo e trovammo che era un buon romanzo, ma non c’era bisogno di scriverlo perché lo aveva già scritto Charles Dickens. Ci ridemmo su e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
Quell’estate andammo in Spagna a vedere Manolete toreare. Dimostrava diciotto anni e Gertrude Stein disse che, no, ne aveva diciannove anche se ne dimostrava diciotto. “Tante volte”, le dissi, “un ragazzo di diciotto anni ne dimostra diciannove, laddove, tante altre volte, un diciannovenne può sembrare facilmente un diciottenne, e questo vale particolarmente per uno spagnolo purosangue”. ridemmo su e Gertrude Stein mi mollò un cazzotto in bocca.


“Discorso ai laureandi” 

Tratto da “Side Effects” (Effetti collaterali), raccolta di racconti pubblicata nel 1980.

 

Oggi, più che mai in qualsiasi altra epoca storica, l’umanità si trova a un bivio. Una strada conduce alla disperazione più assoluta; l’altra, alla totale estinzione. Preghiamo il cielo che ci dia la saggezza di fare la scelta esatta. io vi parlo così non perchè ritenga che tutto sia inutile, futile e vano, ma perchè sono dolorosamente convinto che l’esistenza stessa è, non solo priva di senso, ma piena di terrore. Tale mio atteggiamento potrebbe facilmente scambiarsi per pessimismo. Non lo è.E’ semplicemente una sana e salutare preoccupazione per l’angoscia dell’uomo moderno. (Per uomo moderno qui intendesi qualsiasi persona, ambosessi, nata dopo l’editto di Nietzsche per cui “Dio è morto”, ma prima del clamoroso successo di I wanna hold your hand). Tale angoscia si estrinseca in modo ambivalente, benché alcuni filosofi linguistici preferiscano ridurla a un’equazione matematica che si può facilmente risolvere,non solo, ma portarla anche in saccoccia.

Posto nella sua forma più semplice, il problema è:com’è possibile trovare un senso compiuto, in un mondo finito, dato il mio numero di colletto, di scarpe e calzini? Il quesito è molto arduo, quando ci si renda conto che la scienza ci ha delusi. E’ vero, ha debellato molte malattie, decifrato il codice genetico e persino mandato esseri umani sulla luna; e tuttavia quando un uomo di ottant’anni viene affidato alle cure di due massaggiatrici diciottenni, non succede niente. Perché? Ma perché i problemi reali non cambiano mai.

Dopotutto, può l’anima umana venir osservata al microscopio? Bè, può darsi, ma ne occorre in tal caso uno molto potente, e con due oculari. E’ noto che il computer più perfezionato del mondo ha un cervello meno sofisticato di quello di una formica. D’accordo, si potrebbe dir lo stesso di molti nostri parenti, ma costoro ci tocca sopportarli solo alle feste di nozze o in altre rare occasioni. La scienza è invece qualcosa di cui siamo dipendenti tutto il tempo. Se mi vien male al petto, devo andarmi a fare una lastra. Ma, se le radiazioni dei raggi X mi procurano guai anche più gravi ? Magari finisco in sala operatoria senza neanche accorgermene. Metti allora che, mentre mi somministrano l’ossigeno, a un anestesista gli gira di accendersi una sigaretta. La cosa successiva sono io che sorvolo Manhattan in pigiama. E’ scienza questa? D’accordo: la scienza ci ha insegnato a pastorizzare il latte. E questo, d’accordo, può essere pure divertente in buona compagnia. Ma, e la bomba H ? Avete mai visto che cosa succede quando un aggeggio di quelli casca accidentalmente dalla scrivania ? E dov’è andata la scienza, quando uno ponza sugli enigmi eterni? Com’è che ebbe origine il cosmo? Da quanto tempo si evolve e gira? La materia scaturì da un’esplosione o dal Verbo di Dio? E, in quest’ultimo caso, non avrebbe Egli potuto darle inizio due-tre settimane prima, tanto per approfittare dal bel tempo? Cosa intendiamo dire, esattamente, con l’ “uomo è mortale”? Ovviamente, non è un complimento.

Anche la religione ci ha, purtroppo, delusi. Miguel de Unamuno scrive estrosamente dell’ “eterno persistere della coscienza”, ma non è faccenda facile. Specie si legge Thackeray. Spesso penso quanto doveva essere confortevole la vita, per l’uomo primitivo, dato ch’egli credeva in un potente e benigno Creatore, che si pigliava cura d’ogni cosa. Figurarsi la sua delusione, se vedeva sua moglie ingrassarsi. L’uomo contemporaneo non gode, ovviamente, di tal pace dello spirito. No: la sua fede è in piena crisi. E’, per usare una parola di moda, “alienato”. Ha assistito ai disastri della guerra, ha conosciuto calamità e catastrofi e cataclismi ha frequentato bar per cuori solitari. Il mio amico Jacques Monod parla di un cosmo governato dal caso. Secondo lui, nella vita tutto avviene per puro caso, eccezion fatta per la prima colazione, che sa con certezza che gli viene preparata dalla fida governante. Naturalmente, credere in una divina provvidenza dà molta tranquillità. Ma ciò non ci esime dalle nostre responsabilità umane. Sono forse io il guardiano di mio fratello? Ebbene sì.In tal caso, condivido quest’onore e onere con il giardino zoologico. Sentendoci privi di Dio, dunque, abbiamo fatto una divinità della tecnologia. Ma può la tecnologia rappresentare la risposta esatta, quando una Buick nuova di zecca, col mio socio Nat Zipsky al volante sfonda la vetrina di una tavola calda, seminando il panico fra centinaia di avventori? Il mio tostapane non ha mai funzionato a dovere in quattro anni. Io seguo le istruzioni: infilo due fette di pane nelle apposite fessure…ma due secondi dopo quelle partono come schioppettate. Una volta ruppero il naso a una donna che amavo teneramente. Possiamo forse contare su bulloni e viti e fili elettrici per risolvere i nostri problemi? Sì il telefono è una gran bella cosa…idem il frigo…idem il condizionatore d’aria. Ma non tutti. Non quello di mia sorella Henny, per esempio. Il suo condizionatore fa un gran frastuono e non rinfresca l’aria. Quando viene il tecnico ad aggiustarlo, va ancora peggio. Oppure le dice di comprarne un altro. Se lei si lamenta, il tecnico dice di non seccarlo. Quell’uomo è davvero alienato. Non solo è alienato, ma neanche riesce a smettere di sorridere.

Il guaio  è che non ci hanno adeguatamente preparato a una società meccanizzata. Purtroppo, i nostri politici sono o incompetenti o corrotti. Talvolta tutt’e due nello stesso giorno. Il governo è sordo ai bisogni dell’uomo medio. Quelli poi al disotto della media non riescono neanche a parlare con la segretaria d’un sottosegretario, per telefono. Non nego che la democrazia sia pur sempre la migliore, fra le forme di governo. Perlomeno, in democrazia le libertà civili sono garantite. Nessun cittadino può essere torturato ad arbitrio, imprigionato o costretto ad assistere a certi spettacoli di Broadway. Si è ben lontani, qui da noi, da quel che accade in Unione Sovietica. Sotto il regime totalitario di là, una persona sorpresa a fischiettare è condannata a trent’anni di lavori forzati. Se, dopo quindici anni, non smette di fischiettare, la fucilano. Alle forme più brutali di fascismo fa da contraltare il terrorismo. In nessun’altra epoca storica l’uomo ha avuto, come oggi, paura persino di tagliare la bistecca che ha sul piatto: potrebbe esplodere. La violenza crea violenza e si prevede che, entri il 1990, il sequestro di persona sarà la forma predominante d’interazione sociale. Il sovraffollamento esarceberà i problemi fino al punto di rottura. Dalle cifre risulta che già ci sono più persone sulla terra di quante ne occorrano per spostare anche il più pesante dei pianoforti. Se non si pone un argine alla crescita demografica, nel 2000 non ci sarà più spazio sufficiente, in trattoria, per servire il pranzo a tutti, a meno che non si apparecchino tavoli su due strati, cioè sopra le teste dei primi arrivati. Costoro non dovranno però muoversi, finché mangiano quelli sopra. Naturalmente l’energia scarseggerà e la benzina verrà razionata: a ognuno quanto basta per spostare la macchina da un lato all’altro della strada, a giorni alterni.

Anziché affrontare queste sfide, ci distraiamo invece con trastulli come il senso e la droga. Viviamo in una società troppo permissiva. Mai in passato la pornografia aveva avuto tanta diffusione. E quei film sono così male illuminati! Siamo gente cui manca uno scopo preciso, una meta. Non abbiamo mai imparato ad amare. Ci mancano capi e programmi coerenti. Non abbiamo alcun centro spirituale. Andiamo alla deriva, tutti soli, nel cosmo, sfogando la nostra mostruosa violenza gli uni sugli altri, spinti da sofferenza e frustrazione. Per fortuna, non abbiamo smarrito il nostro senso della misura. In conclusione. è chiaro che il futuro offre grandi opportunità. E’ anche disseminato di trabocchetti. Il trucco consiste nell’evitare i trabocchetti,  prendere al balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena.


 

“Ha sofferto molto?”

 

Tit. orig.: “Did He Suffer Much?”.

 

A quel tempo, avevo un dolore alla regione toracica. Ero sicuro che dipendesse da bruciore di stomaco poiché, a quell’epoca, ero sposato e mia moglie mi cucinava sempre la sua ricetta nazista preferita: Pollo alla Himmler.

Ma non mi andava di sborsare venti dollari per sentirmelo semplicemente confermare da un medico qualunque – che si trattava di acidità di stomaco – senonché ero preoccupato, trattandosi, è vero, della regione toracica.

Viene fuori che un mio caro amico, Eggs Benedict, ha un dolore identico al mio, nella stessa regione toracica. Allora – mi dico – se ci mando Eggs dal medico, vengo a sapere di che cosa soffro senza spendere un soldo.

Quindi convinco Eggs, e lui va. Risulta che ha bruciore di stomaco. Gli costa 25 dollari. Io esulto, perché ho praticamente scroccato una visita medica.

Telefono a Eggs due giorni dopo. E’ morto.

Mi ricovero immediatamente. Mi faccio fare subito tutta una serie di esami, di analisi, raggi, controlli. Risulta che ho bruciore di stomaco. Mi costa centodieci dollari.

Sono fuori dal gangheri, adesso. L’altro giorno ho incontrato la madre di Eggs e le ho chiesto: “Ha sofferto molto?”.

“No”, mi fa, “è morto sul colpo. L’ha investito una macchina”.


 

“La vita mi passò davanti agli occhi”

 

Tit. orig.: “My Life Passed Before My Eyes”.

 

Mi trovavo giù al sud, nel Profondo Sud, e fui invitato a una festa in costume. Accettai volentieri l’invito, era Halloween, e decisi di andarci travestito da fantasma. Prendo un lenzuolo e mi ci avvolgo tutto. Esco per andare alla festa. Dovete figurarvi la scena: io che cammino per le strade d’una cittadina del Profondo Sud con un lenzuolo bianco sulla testa. Si ferma una macchina, con tre tipi a bordo, avvolti in lenzuoli bianchi, e uno mi fa: “Sali”. Arguii che anche loro andavano alla festa travestiti da fantasmi. Salii tranquillamente, ma dopo un po’ mi accorsi che stavamo andando da un’altra parte e glielo dissi.

E loro: “Passiamo a prendere il Grande Drago”.

D’un tratto mi venne un lampo di genio. Profondo Sud. Lenzuoli bianchi. Grande Drago. Feci presto a fare due più due quattro. Arguii che un loro amico stava andando alla testa travestito da drago.
Poco dopo sale a bordo un omaccione e mi rendo conto che quei tipi sono membri del Ku Klux Klan. Quattro, e ben armati. Lo sportello è bloccato. Mi pietrifico. Cerco in qualche modo di trarli in inganno, buttando là qualche parola nel dialetto dell’Alabama. Accanto a me è seduto il capo del clan – lo si riconosce per via delle lenzuola con gli angoli.

Arriviamo sul luogo di riunione, in aperta campagna, e qui mi tradisco, purtroppo, perché – quando fanno la colletta e tutti gli altri versano un contributo in contanti – io dico: “Mi impegno per cinquanta dollari”. Mi sgamarono immediatamente.

Mi tolsero il cappuccio e mi misero un cappio intorno al collo. Decidono di impiccarmi li per li. Allora tutta quanta la mia vita mi passò davanti agli occhi. Mi rividi bambino, nel Kansas. Andare a scuola, sguazzare nel laghetto. Andar giù al fiume a pescare. Andare dal droghiere a comprare i tarallucci per zia Marta…

A questo punto mi accorgo che non è la mia vita, quella. Stanno per impiccarmi e una vita fasulla mi sta passando davanti agli occhi.

Allora parlai loro. Fui molto eloquente e dissi: “Ragazzi, questo paese non può sopravvivere se non ci si ama fraternamente a vicenda, indipendente mente dalla fede religiosa e dal colore della pelle”. Li commossi talmente, con le mie parole, che non solo mi lasciarono andare ma, quella sera, vendetti loro Buoni pro Israele per oltre duemila dollari.

 


 

“Un tremendo conflitto religioso”

 

Tit. orig.: ”A Tremendous Religious Conflict”.

 

Frequentavo, tanto tempo fa, la New York University, che si trova nel Greenwich Village. E’ là che ho cominciato. Ero una matricola quando mi innamorai di una collega di lettere, il mio primo amore. Ma non la sposai perché c’era, fra noi, un tremendo conflitto religioso. Lei era atea, io agnostico. Non sì era d’accordo su quali insegnamenti religiosi non impartire ai nostri figli.

Per un pezzo, poi, feci il vagabondo, finché non incontrai la donna che sarebbe diventata mia moglie. La sposai contro il volere dei miei genitori. Fummo uniti in matrimonio da un rabbino riformato – estremamente riformato: si era convertito ai nazismo.


 

 

“Un predicatore impazzito”

 

Tit. orig.: “A Beserk Evangelist”.

 

Anni fa, mia madre mi regalò una pallottola di fucile. Me la misi nel taschino della giacca. Due anni dopo, camminavo tranquillo per strada quando un predicatore, impazzito, scagliò una Bibbia rilegata in pelle dalla finestra d’un albergo e mi colpì in pieno petto. Quella Bibbia mi avrebbe trapassato il cuore, se non fosse stato per la pallottola.


 

“Una crisi morale”

 

Tit. orig.: “An Ethical Crisis’.

Brano tratto da “The Vodka Ad”,

Una grossa casa produttrice di vodka voleva fare uno spot di prestigio. Si erano rivolti in prima istanza a Noel Coward, che però non era disponibile. Aveva infatti acquistato i diritti di My Fair Lady, dal quale stava togliendo la musica e le parole per tornare al Pigmalione. Come arrivarono poi fino a me? Mali, trovarono il mio nome in una lista che Eichmann aveva in tasca al momento dell’arresto.
Dunque, me ne sto tranquillo a casa, quando squilla il telefono. Una voce gentile all’altro capo mi dice: “Le piacerebbe essere l’uomo vodka di quest’anno?”.

Dico: “No. Sono un artista. Non faccio spot. Non reclamizzo. Non bevo vodka e, se anche la bevessi, non berrei la vostra”.

“Che peccato. Era un’offerta da cinquantamila dollari.”

“Un momento”, gli dissi. “Le passo Woody Allen”

Così, entrai in crisi. Una crisi morale. Dovevo far pubblicità a un prodotto che non usavo?

Questo era il dilemma. Io non bevo, il mio organismo non tollera alcolici. Avevo bevuto due martini a Capodanno, e poi avevo cercato di dirottare un ascensore su Cuba.

In passato, quando avevo problemi del genere, consultavo il mio psicanalista. Ciò è di dominio pubblico. A lungo sono stato in analisi. Una terapia rigorosamente freudiana. Il mio analista è morto due anni fa e io non me ne sono mai reso conto.

Adesso, quando ho scrupoli di coscienza, mi rivolgo al mio consigliere spirituale – che nella fattispecie è un rabbino. Gli telefonai dunque, gli esposi il caso e lui mi disse: “Non farlo, perché è

immorale pubblicizzare, a scopo di lucro, un prodotto che tu non usi”.

Okay, rinunciai allo spot. Mi ci volle un bel coraggio, devo dire, perché ero scannato, a quel tempo. Stavo scrivendo avevo bisogno di denaro per essere creativamente libero. Stavo lavorando a una versione cinematografica del Rapporto Warren.

Un mese dopo, sfoglio le pagine della rivista Life e mi cadono gli occhi su una foto di Monique Van Buren in bikini su una spiaggia di Trinidad, e accanto a lei, con una vodka fresca in mano, c’è il mio rabbino.

Allora gli telefono, lui prima tergiversa, poi quello che vien fuori è questo: vuol buttarsi nel mondo dello spettacolo. Era già apparso in televisione, per recitare una preghiera, e aveva cantato il Salmo Ventesimo-Terzo, improvvisando da un certo punto in poi. Gli era stato chiesto, dal presentatore, di elencare i sette peccati mortali ma lui si era impappinato e aveva elencato invece i setti nani. Adesso apre una discoteca, insieme ad alcuni suoi colleghi: i Rabbini in topless – cioè senza zucchetto in testa.

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