In una Edimburgo cupa e piena di zone d’ombra, l’ispettore McLean si trova a dover fronteggiare uno spietato assassino che uccide le sue vittime con un rituale macabro e senza pietà.
Molto presto l’ispettore scoprirà che questa indagine lo riguarda da vicino e vedrà riaffacciarsi con prepotenza il proprio passato ormai sepolto che invece sembra uscire dalla tomba per tormentarlo.
E’ impossibile non innamorarsi a prima vista di McLean, ispettore vecchia maniera, duro e puro, con una ferita nell’anima, una di quelle ferite che non guariscono, così profonde da diventare una parte integrante del proprio modo di essere.
McLean fa il proprio lavoro e lo fa bene, senza guardare in faccia nessuno e senza curarsi troppo delle sottigliezze formali, utili solamente a fargli perdere tempo, certo questo lo metterà nei guai con i burocrati di ristrette vedute e di poco coraggio che affollano e affliggono non solo la stazione di polizia di Edimburgo ma il mondo intero.
E’ un libro che cattura quello di James Oswald, ci risucchia proprio come fa il suo “libro del male” e ci costringe ad andare avanti per sapere cosa succederà dopo e poi ancora senza darci tregua fino all’ultima pagina. Ci cattura il protagonista di cui è fin troppo facile innamorarsi e ci cattura l’atmosfera generale del romanzo, un’oscurità nella quale accadono delle cose che forse non vorremmo vedere, ma ormai che siamo lì non possiamo farne a meno, dobbiamo sapere.
E quando sembrava quasi di essere a proprio agio nel mistero, quando si aveva familiarità con scene del crimine e medici legali, ecco l’ultima pagina, la fine, troppo presto troppo in fretta, ma,si sa, che succede così con i buoni libri.