Questo testo è stato scritto da Rebecca Mazzarella nello sviluppo di uno degli esercizi del corso di Scrittura Creativa
Sono caduto da una nuvola grigia che viaggiava nei cieli, ho intrapreso il mio viaggio per toccare la terra ed essere assorbito dagli alberi, mi hanno detto che un giorno sarei tornato a casa e così, senza paura decisi di partire.
Mentre viaggiavo nella fresca leggerezza del vento, andai incontro ad un bellissimo albero a punta. Mi appoggiai ad una spina e veloce scesi giù fra i rami nodosi, attraverso le foglie, e poi di colpo mi fermai.
Pensai che la mia corsa non doveva finire così e fu proprio in quel momento che mi accorsi che mi stavo gonfiando, il mio peso aumentò e aspettando il momento giusto, mi staccai finché la mia corsa finì fra le piume di un bellissimo corvo.
Mi persi in quel mare nero finché col suo becco mi trovò e diventai parte di lui.
Con tutta la forza che possedevo feci uno slancio dal ramo per uscire dalla chioma di questo albero e con la forma di un razzo puntai verso l’esterno, aprii le ali per planare sopra le case mentre l’aria mi accarezzava le piume e guardai vigile finché non vidi un verme.
I miei sensi si acuirono, aderii le mie ali al corpo il più possibile e mi buttai in picchiata verso la preda.
Arrivai vicinissimo e senza neanche toccare terra, spalancai il becco per assaporarne il gusto. Continuai la mia salita verso l’alto, mentre cercavo furtivo un altro ramo su cui poggiare. Questa era la mia vita da un tempo infinito fino al momento in cui un cambiamento mutò la mia esistenza.
Qualcosa colpì la mia attenzione quel giorno, ma non era un albero e neanche una preda, era un palazzone con molte finestre e molti movimenti al suo interno.
Sembrava un acquario in cui le persone vivevano rinchiuse a voler escludere il mondo esterno dal loro mondo interiore.
Continuai a volare e a planare in cerca di qualcosa di interessante da osservare, scorsi tutti i piani ma nulla mi attrasse e quindi decidetti di allontanarmi finché una finestra, l’unica aperta nonostante il freddo dell’inverno, non richiamò la mia attenzione.
Prima di toccare il poggiolo le mie ali si aprirono fermando la mia corsa con rispettoso silenzio.
Era la prima volta che la vedevo, sopra il suo letto, distesa a pancia in giù, dubbiosa come se non credesse a ciò che sta pensando.
Di fronte a lei ha dei fogli bianchi, una penna e un computer, un cane disteso al suo fianco che dorme beato, ed io che continuo ad osservarla attratto dalla sua presenza.
Cosa starà mai cercando? Cosa starà facendo?
E mentre mi ponevo queste domande, guardò dalla mia parte e uno sguardo di stupore si dipinse sul suo viso rendendolo luminoso.
Una lacrima spunta dall’occhio, scivola sulla sua guancia e dolcemente si appoggia sulle pagine scritte creando una macchia di inchiostro blu in una pagina di quadretti.
Si mette a sedere sul letto, i suoi movimenti sono lenti per timore di vedermi volare via, ma basterebbe solo che chiedesse e io le volerei al fianco.
Mi viene incontro e non voglio andarmene perché scopro che mi piace stare qui ad osservarla.
Mi parla dolcemente ma non so cosa dice, la sua voce è calma e serena e il sorriso è ancora li per me.
Il mio cuore si apre e scoppia di felicità, spicco il volo di nuovo e a tutta velocità punto verso il basso la mia corsa, non perché vedo una preda ma perché voglio che lei mi guardi fiera.
Apro le ali e mi adagio a terra, cammino in tondo, e ogni tanto controllo se lei è ancora li che mi osserva.
Ha appoggiato i gomiti sul poggiolo e sulle sue mani ha posato la sua testa, dalla sua posizione sembra non volersene andare allora inizio a camminare fiero, ma altri uccellini, sempre neri ma col becco arancione mi camminano intorno.
Preso dalla paura che mi perda di vista, spicco il volo e mi adagio sul ramo di un albero che arriva molto vicino alla sua finestra.
Il nostro sguardo si incrocia e lei mi sorride con aria serena.
Sento ancora la pioggia che cade sulle mie piume e delicatamente scivolano giù accompagnate dalla
forza di gravità, passeggio avanti e indietro perché non voglio che si annoi, voglio che mi guardi perché sono li per lei.
Quando mi giro però lei non c’è più, ha chiuso la finestra dell’acquario che contiene i suoi pensieri e mi sento solo perché non riesco a sentirli.
Apro le ali e il mio cuore batte forte, non voglio perderla ora che l’ho ritrovata.
Sento l’aria che con la sua forza trasparente mi culla verso la sua finestra, finché non arrivo al suo poggiolo e la trovo distesa sul suo letto, ma questa volta scrive concentrata.
La sua mano non finisce di muoversi, perché un mare di inchiostro sta solcando il foglio bianco e come in balia della tempesta, butta la sua rete per catturare i pensieri prima che questi sfuggano. Scrive e scrive, si alza cammina e scrive, si porta la penna alla bocca in cerca della parola giusta da inserire, la sua fronte si corruga per i troppi pensieri che bussano per uscire, le sue gambe mai ferme per scattare dietro al pensiero sfuggente.
Così la osservo nei giorni a venire e mi affeziono alla sua presenza costante e rasserenante.
Ogni tanto alza lo sguardo alla finestra e se non mi trova, si affaccia per cercarmi nel sole e nella notte.
Un giorno, trovai la finestra aperta e lei non c’era, balzai sulla sua scrivania su cui tanto lavorava e vi trovai un mucchio di fogli bianchi uno sopra l’altro. Il primo del mucchio era strano perché era tutto bianco con alcune parole scritte a penna nel centro, feci fatica ma misi a fuoco le parole e riuscii a leggere.
“Di fronte a te…Un bellissimo corvo nero”.
E così capii che anche io le appartenevo.