Vi posto alcune poesie di Edgar Allan Poe, scrittore, giornalista, poeta, saggista ed editore. Vissuto 1809 e il 1849, in una vita tormentata, è stato definito uno dei precursori del decadentismo e l’inventore del genere poliziesco, delle storie dell’orrore e del giallo psicologico.
Una vera icona della letteratura internazionale.
Vi posto qui alcune poesie:
Un sogno dentro a un sogno.
Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,
lascia che io ti dica
che non sbagli se pensi
che furono un sogno i miei giorni;
e, tuttavia, se la speranza volò via
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nient’altro,
è forse per questo meno svanita?
Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno.Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono sul mare!
Ed io piango – io piango!
O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?
O Dio! Mai potrò salvarne
almeno uno, dall’onda spietata?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno?
Il verme conquistatore.
Guardate! È una serata di gala
In questi ultimi anni desolati!
Uno stuolo d’angeli alati!
Tra i veli e sommersi dal pianto,
A teatro siede a vedere
Un dramma di speranze e timori,
L’orchestra emette a tratti in sordina
La musica delle sfere.Parodiando Iddio nel cielo, i mimi,
Sottovoce borbottano, sussurrano
E si gettano qua e là. Marionette
Soltanto che vengono e vanno
Al cenno di cose immense informi
E spostano gli scenari avanti e indietro
Scuotendo dalle loro ali di Condor
L’invisibile Affanno!Un dramma così variegato, non temete,
Non sarà scordato!
Col suo Fantasma per sempre inseguito
Da una folla che mai non l’afferra,
In un cerchio che sempre ritorna
Nello stesso identico punto,
E molta Pazzia, e ancor più Peccato,
E Orrore animano la trama.Ma guardate, tra la ridda dei mimi,
S’insinua una forma strisciante!
Una cosa rossosangue si snoda
Sbucando dalla scena deserta!
Si snoda! Si annoda! Tra spasmi mortali
Suo cibo diventano i mimi,
Singhiozzano i serafini ai denti del mostro
Di sangue rappreso imbevuti.Spente, spente le luci, tutte spente!
E sopra ogni forma fremente,
Funebre sudario il sipario
Vien giù con fragor di tempesta,
E gli angeli pallidi esangui,
Levandosi, svelandosi, dicono
Che quella è la tragedia “L’Uomo”,
E il Verme Conquistatore, l’eroe.
Alla Scienza.
O scienza! Vera figlia del passato
che scruti e muti il mondo col tuo sguardo!
Perché saccheggi il cuore del poeta,
rapace dalle ali di squallida realtà?
Dovrebbe amarti, lui? Stimarti saggia?
Tu non volevi lasciarlo vagare
in cerca di tesori nei cieli ingioiellati,
benché si alzasse in volo con audacia.
Non hai strappato Diana dal suo carro?
Cacciato l’Amadriade dal suo bosco
a rifugiarsi su astri più felici?
Non hai rubato tu l’acqua alla Naiade,
la verde erbetta all’Elfo, e infine a me
il sogno estivo sotto il tamarindo?
A Zante.
O bella isola, che dal più bel fiore
prendi il tuo nome, fra tutti il più gentile!
Quante memorie di raggianti ore
da te si ridestano al tuo solo apparire!E parvenze di quale perduta felicità!
E pensieri di quali speranze sepolte!
E visioni di una fanciulla, sui tuoi verdi
pendii, che non è più, che non è più!Non più! Ahimè, quel magico e triste suono
che tutto trasmuta! Non più loderò i tuoi incanti,
non più il ricordo di te! Un esecrato suolod’ora in avanti riterrò il tuo lido fiorito,
o isola giacintea! O purpurea Zante!
Isola d’ oro! Fior di Levante!
Eldorado.
Col suo gaio cimiero,
un ardito cavaliere,
sotto il sole e in fitta ombra,
già da tempo andava errando
e cantava una canzone
ricercando l’Eldorado.Ma diventò vecchio intanto
questo prode cavaliere
e gli calò sul cuore
un’ombra, che non trovava
mai terra o luogo
somigliante all’Eldorado.E quando le forze
l’abbandonarono infine,
incontrò un’ombra pellegrina
“Ombra”, egli chiese,
“dove mai si troverà
questa terra d’Eldorado?”“Oltre ai Monti
della Luna,
giù nella Valle delle Tenebre,
cavalca, cavalca intrepido”,
così l’ombra gli rispose
“se vai in cerca d’Eldorado!”.
Terra di fate.
Valli di nebbia, fiumi tenebrosi
e boschi che somigliano alle nuvole:
poi che tutto è coperto dalle lacrime
nessuno può distinguerne le forme.
Enormi lune sorgono e tramontano
ancora, ancora, ancora…
in ogni istante
della notte inquiete, in un mutare
incessante di luogo.
E così
spengono la luce delle stelle
col sospiro del loro volto pallido.
Poi viene mezzanotte sul quadrante lunare
ed una più sottile delle altre
(di una specie che dopo lunghe prove
fu giudicata la migliore)
scende giù,
sempre giù, ancora giù,
fin quando
il suo centro si posa sulla cima
di una montagna, come una corona,
mentre l’immensa superficie,
simile a un arazzo,
s’adagia sui castelli
e sui borghi (dovunque essi si trovino)
e si distende su strane foreste,
sulle ali dei fantasmi, sopra il mare,
sulle cose che dormono e un immenso
labirinto di luce le ricopre.
Allora si fa profonda – profonda! -
la passione del sonno in ogni cosa.
Al mattino, nell’ora del risveglio,
il velo della luna si distende
lungo i cieli in tempesta e,
come tutte le cose,
rassomiglia ad un giallo albatro.
Ma quella luna non è più la stessa:
più non sembra una tenda stravagante.
A poco a poco i suoi esili atomi
si disciolgono in pioggia: le farfalle
che dalla terra salgono a cercare
ansiose il cielo e subito discendono
(creature insoddisfatte!) ce ne portano
solo una goccia sulle ali tremanti.
I miei incantesimi.
I miei incantesimi sono infranti.
La penna mi cade,
impotente,
dalla mano tremante.
Se il mio libro é il tuo caro nome,
per quanto mi preghi,
non posso più scrivere.
Non posso pensare,
né parlare,
ahimé non posso sentire più nulla,
poiché non é nemmeno un’emozione,
questo immobile arrestarsi sulla dorata
soglia del cancello spalancato dei sogni,
fissando in estasi lo splendido scorcio,
e fremendo nel vedere,
a destra e a sinistra,
e per tutto il viale,
fra purpurei vapori,
lontano
dove termina il panorama
nient’altro che te.