Mario Biondi funziona come il teletrasporto. Ogni volta che in ufficio parte Mario Biondi, nessuno capisce più niente. Nessuno tiene più a bada il grigiore dei propri pensieri, o dei propri vestiti: basta un attimo e la mia collega Claudia, designer con un recente passato da metallara, dismette i propri nostalgici stivali con le fibbie; il decano Fernando si dissocia dalla felpa di pile marrone ereditata dalle pratiche di giardinaggio domenicale; Filippo il telefonista nasconde sotto la scrivania, benché siano tremendamente indie, le sue Clarks un tempo beige ormai annerite tra le pieghe, e finanche quel golfino blu da stagista con la finta camicia a righe attaccata, comprato da Irene allo scopo di coniugare il classico al casual, in un attimo le appare decisamente improponibile. Quando inizia This is what you are (ma in particolare quando arriva il ritornello shalalailalalalai), io e i miei calzini a righe che sbucano dagli scarponcini sentiamo già di trovarci su una terrazza vista mare, circondati da una coltre di lino bianco interrotta dalle macchie di trasparenza dei parei e dal riverbero tintinnante di enormi bracciali, con un cocktail in mano, di quelli con il bicchiere a triangolo e un’oliva all’interno, e una mise piuttosto succinta con la quale tuttavia mi sento stranamente a mio agio, giacché Mario Biondi prevede anche che tutti gli astanti siano in perfetta forma fisica. E’ al fascino discreto del lounge che si abbandona il mio pensiero, alla magia dell’aperitivo con le ostriche su sdraio di legno con tela bianca, bianchi gazebo sullo sfondo, bianche scogliere, ogni guisa di ciabatte infradito e quel mélange di profumi da uomo indossati da donne che solo basta ad eccitare gli animi. E così mi trovo a fantasticare, davanti al mio bel foglio excel, di questa terrazza e di un’interessantissima chiacchierata con un tipo la cui forte ma curata abbronzatura ha leggermente schiarito una barbetta incolta e l’attaccatura dei capelli. Uno che a differenza degli altri non ha una camicia bianca ma una t-shirt nera di quelle con le scritte simpatiche, o meglio ancora il logo di un brand che sta lanciando insieme a un amico su a Milano (la terrazza si trova in un posto non meglio specificato delle isole italiane, ma ci sono buone probabilità che si tratti della Sardegna). L’interlocutore biondiccio con le sopracciglia folte ma ordinate al punto giusto da dissimulare bene l’intervento di un paio di pinzette, o meglio ancora di striscioline di ceretta, si chiama Carlo ed è tipicamente di quelli che fanno prima ingolosire e poi ingelosire. In abbinamento alla maglietta, che finora ha monopolizzato la mia attenzione in quanto, a voler essere precisi nella definizione del famoso brand, raffigura una mano nello stilizzato ma inequivocabile gesto del dito medio a cui si accompagna lo slogan IN MEDIO STAT VIRTUS, indossa dei bermudoni a quadretti chiari, una collanina non troppo vistosa e tutto sommato gradevole, delle Adidas modello Samba verde smeraldo un po’ sdrucite ma ben calibrate, polpacci slanciati dal pelame anch’esso biondiccio, e per concludere due braccialetti portafortuna di quelli che si comprano solitamente al mare e di cui ho subito notato i colori: verde (= speranza) e giallo (= denaro)[1]. Carlo parla soprattutto delle t-shirts, perché, a quanto intuisco, fra i due soci lui è quello a cui spetta il ruolo di promoter, dunque la nostra chiacchierata, benché si tratti del mio sogno ad occhi aperti, ha tutta l’aria di far parte di un’analisi di mercato. D’altronde non si può negare l’idoneità sperimentale di una bianca terrazza lounge sarda, alla presenza di un’interlocutrice del giusto target di età, costituzione e classe sociale, e con il sottofondo di Mario Biondi, This is what you are. L’aria dapprima ovattata dal lino e da vapori testosteronici, la poesia degli zigomi arrossati e delle borse di paglia, subisce ora la prepotente fenditura del dito medio, che è il filo conduttore di tutta la linea di t-shirts, a metà fra la goliardia e la demenzialità, ma che vuole soprattutto proporsi come filosofia di vita tascabile che ricalchi il classico modello del fuck e del fotti questo e quello. Una fanculizzazione totale insomma, ma fino a un certo punto. Con un certo stile, ecco. Non è casuale, ad esempio, la scelta del latino per il prototipo indossato da Carlo:
- Ma questo è niente, rispetto al resto
- Quindi avete già pronta tutta la linea?
- Beh in pratica sì, abbiam buttato giù un po’ di idee e ora stiam cercando uno che ce le realizzi a un costo decente, ché non vogliam mica rimetterci subito dei soldi eh. Poi guarda, il Fedo di ’ste robe qui capisce una sega, però fortunatamente ci sono io che invece due tre nozioni di marketing le mastico, e quindi siamo una squadretta vincente. Lui la mente, io il braccio.
- Ah quindi hai fatto studi di economia?
- Sì, ho fatto i primi due anni, poi ho lasciato perché ero in sbattimento, solite discussioni coi genitori, e alla fine mi son sparato il classico trimestre a Londra a fare il cameriere…no ma…te non puoi immaginare che roba bella che son ’ste magliette qua. Insomma il Fedo ha pensato ’sta cosa del dito medio che è a dir poco g e n i a l e, cioè tipo che a un certo punto il dito diventa stilizzato, ma un po’ umanizzato, tipo cioè vestito con l’armatura da cavaliere e sotto la scritta MEDIOEVO, non so se mi spiego…
- Geniale, assolutamente stupendo.
Osservo Carlo con la faccia seria ma rilassata di chi si sente perfettamente padrone della situazione, di chi ha in mano un sobrio cocktail con l’olivetta, a differenza dell’ interlocutore che detiene invece un volgarissimo bibitone provvisto di un grappolo di pezzi di frutta esotica. Mi limito a guardarlo e a battere le ciglia in quel modo fintamente interessato che usano di solito le donne quando sono occupate a cercare di sembrare parimenti interessanti.
- Ah poi, senti questa, anzi facciam così: io ti descrivo il disegno e tu mi cerchi di indovinare la scritta ok?
- Ok dai, proviamo. Divertente.
- Allora ne abbiam pensata una che si può fare in due modi: o con il dito medio che si staglia su una figura del Duomo un po’ stilizzata anche quella, messa un po’ giusta, carina…oppure, se vogliam fare proprio i coglioni, col biscione di Canale 5…avanti prova a indovinare?
- Oddio…boh…ma sempre con la parola “medio”?
- Eh, pefforza.
Mimando l’accento romano alla tipica maniera milanese di inspiegabile raddoppiamento delle consonanti in luogo dello strascicamento, quasi a voler sottolineare un nascente tono di confidenza che si sta creando fra noi.
- Uè “Milano” che fai sfotti?
- Ah romana! E annamo provva a indovinnà no?
Continuando col medesimo accento, in risposta alla mia parodia del dialetto milanese: tutto ciò in uno scambio ammiccante di sguardi che sta a significare “ci siamo capiti, stiamo agendo sulla stessa linea d’onda, diciamo cose simpaticissime che ci porteranno presto a condividere altre piccole goliardate attraverso le quali instaureremo una minuscola relazione, che sarà caratterizzata da interminabili scambi di messaggi con doppi sensi e parole comprensibili solo a noi, finché uno dei due, probabilmente Carlo, non si stancherà e a quel punto risponderà ai messaggi con sempre meno brillantezza e tempestività, e allora io chiederò che è successo e lui mi scriverà qualche riga due giorni dopo dicendo scusa ho dei casini pazzeschi sono dovuto rientrare a Milano ci sentiamo presto”.
- …MEDIOLANUM, capito?
- Ah ah ah sì, come no, certo. MEDIOLANUM, come ho fatto a non pensarci?
- Ada, ma che sta dicendo? Cosa ci trova di così divertente?
- Come…come dice?
- Le ho appena chiesto di fare questo bonifico alla Banca Mediolanum: qui c’è il nome del destinatario e qui c’è l’iban. Ah, e quando ha finito, dovrebbe farmi un gran favore: venga nel mio ufficio e dica che mi aspettano urgentemente in riunione, devo assolutamente sbolognarmi un esaltato che vuole che gli realizziamo delle magliette con il dito medio, roba da matti.
[1] Del resto sono gli unici due colori di cui mi ricordo la corrispondeza, salvo forse il banale rosso = amore, ma questo mi avrebbe guastato il personaggio.
Valeria Raimondi