In tempi come questi dove, purtroppo o per fortuna, ci affidiamo quasi ed esclusivamente al web e alla tecnologia per la comunicazione, mi è venuta voglia di andarmi a cercare delle lettere che personaggi storici scrivevano ai propri amori.
La lettera ha sempre quel fascino di romanticismo e mistero che nessun dispositivo tecnologico potrà mai raggiungere, e chissà che magari un giorno non torni un’abitudine degli amanti.
Franz Kafka a Felice Bauer
Gentile Signorina,
Per il caso facilmente possibile che Lei possa ricordarsi più minimamente di me, mi presento un’altra volta: mi chiamo Franz Kafka e sono quello che la prima volta la salutò a Praga quella sera in casa del direttore Brod, poi le porse da un lato all’altro della tavola fotografie di un viaggio da Talia, l’una dopo l’altra, e infine con questa mano, che ora batte i tasti, tenne la Sua con la quale Lei confermò la promessa di fare con lui l’anno venturo un viaggio in Palestina. Se é ancora dell’idea di intraprendere quel viaggio.
Lei disse allora di non essere di carattere volubile né io notai qualcosa di simile in Lei, sarà non solo opportuno, ma assolutamente necessario che fin da ora cerchiamo di intenderci per questo viaggio. Dovremo infatti sfruttare fino in fondo le nostre ferie, troppo brevi per un viaggio in Palestina, e lo potremo fare soltanto se ci saremo preparati nel miglior modo possibile e se saremo d’accordo su tutti i preparativi. Devo soltanto confessare una cosa, per quanto suoni male e oltre a ciò male si adatti a quanto ho scritto: io non sono puntuale nello scrivere lettere. Anzi sarebbe peggio di quanto non sia già se non possedessi la macchina per scrivere; infatti se qualche volta il mio umore non fosse sufficiente per una lettera, ci sono in fin dei conti pur sempre le punta delle dita che possono scrivere. In compenso non mi aspetto mai che le lettere arrivino puntualmente; perfino quando ne aspetto una con ansia ogni giorno nuova, non resto mai deluso se non arriva, e quando infine arriva rimango facilmente scosso. Nell’infilare ogni foglio noto che mi sono presentato forse più difficile di quanto non sia. Ben mi starebbe se avessi commesso questo errore: infatti perché mi metto a scrivere questa lettera dopo sei ore d’ufficio e con una macchina alla quale non sono molto avvezzo? Eppure, eppure – é l’unico svantaggio dello scrivere a macchina quello di sviarsi così – se anche ci dovessero essere dubbi, dubbi pratici intendo, per prendermi in un viaggio come accompagnatore, guida, zavorra, tiranno e quello che ancora potessi diventare, contro di me in quanto corrispondente (e solo di questo si tratterebbe per il momento) non ci dovrebbe essere da fare alcuna obiezione decisa e Lei potrebbe probabilmente tentare con me.
Suo cordialmente devotoDott. Franz Kafka
Da Napoleone Bonaparte a Giuseppina Beauhuarnais
Non è passato giorno che non t’amassi; non è passata notte che non ti stringessi fra le braccia; non ho preso una tazza di thè senza maledire la gloria e l’ambizione che mi tengono lontano dall’anima della mia vita. In mezzo agli affari, alla testa delle truppe, percorrendo i campi di battaglia, la mia adorabile Giuseppina è sola nel mio cuore, occupa il mio spirito, assorbe il mio pensiero. Se mi allontano da te con la velocità di un torrente del Rodano, è per rivederti più in fretta. Se, nel mezzo della notte, mi alzo per lavorare ancora, è che questo può anticipare di qualche giorno l’arrivo della mia dolce amica e, tuttavia, nelle tue lettere del 23, del 26 ventoso, mi davi del Voi. Voi, tu stessa. Ah, Cattiva! Come hai potuto scrivere questa lettera? Come è fredda! E poi dal 23 al 26 ci sono quattro giorni; che cosa hai fatto per non aver scritto a tuo marito? Ah! Amica mia, questo Voi e questi quattro giorni mi fanno rimpiangere la mia antica indifferenza. Sfortuna a colui che ne sarebbe la causa! Possa egli, per pena e per supplizio, provare ciò che la convinzione e l’evidenza che servirono il tuo amico, mi farebbero provare! L’inferno non ha supplizio, né le furie serpenti! Voi!Voi! Ah! Che ne sarà fra quindici giorni? La mia anima è triste; il mio cuore è schiavo e la mia immaginazione mi spaventa! Tu mi amavi meno, tu sarai consolata. Un giorno tu non mi amerai più, dimmelo, saprei almeno meritare la sfortuna! Addio, donna, tormento, speranza, felicità e anima della mia vita, che io amo, che temo, che mi ispira dei sentimenti teneri che mi chiamano alla natura, a dei movimenti tempestosi vulcanici come il tuono. Non ti chiedo né amore eterno, né fedeltà, ma solamente verità, franchezza senza limiti. Il giorno che mi dirai: ti amo di meno, sarà o l’ultimo del mio amore o l’ultimo della mia vita. Se il mio cuore fosse cosi vile da amare senza ritorno, lo farei a pezzi con i denti. Giuseppina! Giuseppina! Ricordati ciò che ti ho detto talvolta: la natura mi ha fatto l’animo forte e deciso; essa ti ha costruito di pizzo e di garza. Hai smesso di amarmi!! Perdono, anima della mia vita, la mia anima è tenera su vaste combinazioni. Il mio cuore, interamente occupato da te, ha dei timori che mi rendono infelice. Mi secca non poterti chiamare col tuo nome. Attendo che tu me lo scriva. Addio! Ah! Se tu mi amassi di meno, non mi avresti mai amato. Sarei allora proprio da compatire.
Da George Byron a Teresa Guiccioli
Mia carissima Teresa, ho letto questo libro nel tuo giardino; amore mio, tu non c’eri, o io non avrei potuto leggerlo. E’ uno dei tuoi favoriti e lo scrittore era un amico mio. Tu non capirai queste parole inglesi, e altri non le capiranno, ecco la ragione per cui non le ho scarabocchiate in italiano. Ma riconoscerai la calligrafia di colui che ti amò appassionatamente, e capirai che, su un libro che era tuo, poteva solo pensare all’amore. In questa parola, bellissima in tutte le lingue, ma soprattutto nella tua – Amor mio – è compresa la mia esistenza qui e dopo. Io sento che esisto qui, e sento che esisterò dopo, per quale scopo lo deciderai tu; il mio destino riposa con te, e tu sei una donna di diciotto anni, che ha lasciato il convento due anni fa. Desidererei che fossi rimasta lì, con tutto il mio cuore, o, almeno, che non ti avessi incontrata nel tuo stato di donna sposata. Ma per questo è troppo tardi. Io ti amo e tu mi ami o almeno, cosi dici, e agisci come se mi amassi, il che comunque è una grande consolazione. Ma io ancor più ti amo e non posso cessare di amarti. Pensa a me qualche volta, quando le Alpi e l’oceano ci divideranno, ma non sarà cosi a meno che tu non voglia.
Lord Byron – Bologna, 25 Agosto 1819
Da Ugo Foscolo a Antonietta Fagnani Arese
Tu sei certa dunque ch’io t’amo, o celeste creatura ? Oh!…si, io t’amo quanto posso amare; il mio cuore non può reggere più alla piena di tante sensazioni. Io sento la passione onnipotente dentro di me…eterna! Si io t’amo.
Io sperava da’ tuoi baci un qualche ristoro; ma io invece ardo ognor più…Il sorriso è fuggito dalle mie labbra; e la profonda malinconia che mi domina non mi lascia se non quando io ti vedo…e ti vedo venire così amorosa verso di me a farmi confessare come, ad onta di tanti mali, la vita è preziosa. Ma io …tremo! Che farai di me ora che sei sicura del tuo potere ? Mi abbandonerai tu alle lagrime e alla disperazione ? ti raffredderai tu con me ? –
io so che mi sarebbero utili le arti del libertinaggio per farmi amare di più: dovrei fingere meno ardore per irritare il tuo amor proprio, dovrei…ah! La mia ragione le conosce tutte queste arti, ma pur troppo il mio povero cuore non sa fare alleanza con la mia ragione. Io lo abbandono tutto a te…io spero che tu non sarai capace di tradirlo.
E’ vero, mia cara, ch’io temo del tuo amore perché ne’ suoi principi è stato troppo impetuoso, perché tu sei troppo bella, o troppo circondata dal bel – mondo in cui ti perdi, perché…ma con tutto ciò io non ti credo così cattiva da lasciarmi crudelmente: quando l’amore si raffredderà in te, posso io lusingarmi, o Antonietta, che la compassione e la riconoscenza ti parleranno in favore del tuo amico ? Si, io me ne lusingo, perché il tuo cuore è ben fatto…perché io non merito di essere tradito.
T’amai e t’amo con tutta la lealtà e la delicatezza della virtù…io mi sono confidato tutto a te…nelle mie stesse diffidenze io ho prescelto di essere piuttosto tradito che di non credere ai tuoi giuramenti.
Rispondimi lealmente, o mia amica; e rispondimi con tutta l’effusione della tua anima.
La tua passione per me s’è ella raffreddata ?… Oh terribile idea! Ma tu rispondimi.
Non temer dal mio canto né rimproveri, né eccessi…Io piangerò, io morirò, ma rispettando sempre la tua fama. Io verserò l’ultimo respiro su le tue lettere. E dirò leggendole: la mia Antonietta mi ha pur qualche volta dato tutto il suo cuore e ha confuso le sue lagrime alle mie. Intanto odilo: niuna donna può vantarsi di essere stata tanto amata da me. Ho amato, è vero, ma non sapeva di poter amare tanto; i miei passati amori hanno avuto o i caratteri romanzeschi, o con qualche donna del gran mondo quei del libertinaggio; ma con tanta passione, con tanta ingenuità, con tanta verità di amore non ho amato mai.
E non amerò più! Io te lo ripeto, o Antonietta, questo giuramento:tu sarai l’ultima donna ch’io amerò: e dopo di te non mi avrà che la solitudine, o la sepoltura.
Rispondimi. Addio.
da Oscar Wilde a Lord Alfred Douglas
Mio carissimo ragazzo – il tuo sonetto è proprio adorabile ed è meraviglioso che quelle labbra a foglia di rosa siano state fatte non meno per la musica delle canzoni che per la follia dei baci.
La tua snella anima d’oro cammina fra passione e poesia.So che Giacinto, amato cosi appassionatamente da Apollo, eri tu ai tempi dei Greci.
Perché sei solo a Londra e quando vai a Salisbury ? Vai là, rinfrescati le mani nel grigio tramonto delle cose gotiche, e vieni qui quando vuoi.
E un posto delizioso, manchi solo tu, ma vai a Salisbury, prima.
Sempre, con imperituro amore,
Il tuo
Oscar
Da Gabriele D’annunzio a Jouvence
In questa notte nera, la corona delle tue braccia m’è come una costellazione indelebile.
Perché oggi, in quei pochi attimi di sogno, ho avuto dalle tue giovani braccia una sensazione luminosa, come se tu avessi cinto d’un fuoco bianco la mia tenerezza e la mia tristezza?
Esiste un fuoco fresco ?
Non saprò mai dirti quel che provo, quel che tu mi dai.
Tra l’ebbrezza di ieri e quella d’oggi, non v’è stato per me che supplizio corporale e inquietudine interiore. Tu hai ascoltato, con l’indulgenza più delicata, le mie confessioni.
La grazia del tuo volto attento sembrava modellarsi sulla mia sofferenza.
Poco a poco, credevo di sentire la sostanza del tuo corpo cambiarsi in una specie d’amore caritatevole. Credevo di assistere a un miracolo inaudito: il frutto voluttuoso che si muta in fiore sensibile! Puoi capire ?
Mai tu m’avevi preso fra le tue braccia con tanta dolcezza.
Io ti parlavo delle mie voluttà tormentose e menzognere; e, senza parlare, tu calmavi il mio dispiacere, rinfrescavi la mia bruciatura, consolavi i miei rimpianti e i miei rimorsi.
E, come tu non m’avevi mai coronato con braccia cosi tenere e cosi chiare, tu non avevi mai avuto labbra cosi musicali. La tua carezza era come una melodia infinita.
Ogni moto delle tue labbra era un accordo che, ogni volta, sembrava compiere la perfezione della mia estasi.
Eri una dolce piccola anima con delle labbra. Eri la bocca stessa dell’Amore che guarisce.
Ed eccomi solo, nella notte ! Tu eri seduta là. Qualche filo d’oro riluce nella tua testa bruna…
Come l’altro giorno, quando il mio desiderio ti chiamava, sei riapparsa?
M’hai lasciato di te una sensazione luminosa.
Mi sembra d’avere della luce sulla punta delle mie dita, come se avessi toccato il fosforo.
Dormi ? Tu circondi forse con le tue braccia il sogno dell’amico insonne.
Il tuo seno sinistro mi chiama e si offre…
Vorrei che il mio grido giungesse fino a te; vorrei che il mio desiderio traversasse il lago scuro fino al tuo giardino umido… Tenterò di farti giungere questa lettera notturna.
Sarai forse contenta di stringerla sul petto o di farne il tuo guanciale.
Le tue braccia chiare e tenere sono l’unica aureola della martire Notte.
da Zelda Fitzegerald a Francis Scott Fitzegerald
Guardo lungo il sentiero e ti vedo arrivare – dalla foschia e dalla nebbia i tuoi cari pantaloni stazzonati si affrettano verso di me – Senza di te, caro, carissimo non potrei vedere, né udire, né sentire, né pensare – o vivere – ti amo cosi tanto e, per tutta la nostra vita, non permetterò che passiamo un’altra notte separati. Senza di te è come chiedere pietà a un temporale o uccidere la bellezza o diventare vecchi.
Ho una tale voglia di baciarti – e dietro sull’attaccatura dei tuoi cari capelli e sul petto – ti amo – e non posso dirti quanto.
Pensare che morirei se tu non lo sapessi – sciocco – devi tentar di capire quanto ti amo – come sono senza vita quando tu non ci sei – non posso neppure odiare queste dannate persone –
Nessuno ha il diritto di vivere se non noi – e loro stanno insozzando il nostro mondo e non posso odiarli per il fatto che ti voglio – Vieni in fretta – Vieni in fretta da me – non potrei fare a meno di te neppure se tu mi odiassi e fossi coperto di piaghe come un lebbroso – se fuggissi via con un’altra donna e mi facessi morir di fame e mi picchiassi – ancora ti vorrei, lo so – Amore, Amore, Caro –Tua moglie
1920
Wolfgang Amadeus Mozart a Costanze Weber
Carissima, amatissima amica,
Sicuramente mi permetterai di chiamarti ancora con questo nome. Sicuramente non mi odi a tal punto che io non possa essere più tuo amico, e tu – non più mia ?
E anche se non sarai più mia amica, tuttavia non mi puoi impedire di augurarti ogni bene, amica mia, dacché è molto naturale per me fare cosi. Pensa a quello che mi hai detto oggi.
Nonostante tutti i miei tentativi mi hai scacciato tre volte e mi hai detto in faccia che non intendi più aver nulla a che fare con me.
Io (a cui importa più di quello che importa a te di perdere l’oggetto del mio amore) non sono cosi focoso, cosi rozzo e stupido da accettare la mia dismissione.
Ti amo troppo per far questo. Ti raccomando pertanto di ponderare e di riflettere sulla causa di questa spiacevole vicenda, che è nata dal fatto che mi ha seccato il modo cosi impudente e sconsiderato da farti dire a tua sorella – e sia chiaro, in mia presenza – che tu avevi permesso a un gentiluomo di prendere le misure dei tuoi polpacci.
Nessuna donna a cui sta caro il suo onore può comportarsi così. E sempre un buon principio quello di fare ciò che fanno gli altri. Allo stesso tempo ci sono molti altri fattori da considerare – come, per esempio, se siano presenti solo intimi amici e conoscenti – se una sia una bambina o una ragazza in età da marito – più precisamente se sia fidanzata – ma, soprattutto, se nella compagnia siano presenti solo persone della sua classe sociale, o suoi inferiori – o, cosa ancor più importante, suoi superiori. Se è vero che anche la Baronessa ha permesso che la stessa cosa fosse fatta a lei, il caso è comunque diverso, perché lei non è più di primo pelo e non può più attrarre gli uomini – e inoltre, è propensa alla promiscuità e dispensa favori qui e là. Io spero, carissima amica, che anche se tu non desideri diventare mia moglie, non condurrai mai una vita come la sua.
Se è stato per te impossibile resistere al desiderio di partecipare al gioco (anche se non sempre è saggio per un uomo farlo e tanto meno per una donna), allora perché in nome del cielo non hai preso tu il nastro e non ti sei misurata tu i polpacci (come donne timorate hanno fatto in simili occasioni alla mia presenza) , invece di permetterlo a un gentiluomo di farlo ?…
Ma basta ora; e il minimo riconoscimento del tuo comportamento in qualche modo sconsiderato in questa occasione metterebbe a posto le cose di nuovo, e se tu non ne facessi un caso, carissima amica, tutto andrebbe a posto.
Capisci ora quanto ti amo. Non mi infiammo come fai tu. Penso, rifletto e sento.
Se solo tu ti arrenderai ai tuoi sentimenti, allora so che quello stesso giorno sarò in grado di dire con assoluta certezza che Costanze è la virtuosa, prudente, onorata e leale amante del suo onesto e devotoMozart
da Giovanni Verga a Dina
Tante, tante cose ti vorrei dire che mi si affollano alla mente e mi gonfiano in cuore e che diventano fredde e sciocche nella carta.
Questo solo ti dico, che ti ho ancora e sempre dinanzi agli occhi, e ti accompagnano in ogni ora della tua giornata, e sento che mi manca la più cara e la miglior parte di me stesso.
Come hai fatto a prendermi così?
Quel viaggio che ho rifatto da solo, dopo averlo fatto insieme a te è stato una gran tristezza; ogni luogo, ogni pietra che abbiamo visto insieme mi ritorna dinanzi, e mi lega.
Le parole, gli atti, il tono della voce. Le parole che non dicesti e quelle che non osai dirti.
L’ombra che ti fuggiva nella fronte e gli occhi che guardavano lontano.
Ancora non mi dà pace di aver perduto questi giorni che avrei potuto passare ancora insieme a te, o vicino a te. E se non fosse la certezza di far pensare che son matto, farei il ballo del ritorno anche per un sol giorno. Beata te che sei così giudiziosa ed equilibrata!
Vedi che un po’ d’equilibrio l’hai dato anche a me!
Però domani sera voglio essere a Milano, senz’altra dilazione e vuol dire che lontani per lontani guarderò almeno il posto dove ti vedevo passare dalla finestra.
Che sciocchezze, eh?
Ebbi la tua lettera come una carezza. Ma l’avevo aspettata tanto che sono andato ad aspettarla anche all’arrivo del corriere dall’Italia. Scrivimi al “Continentale” dal giorno del tuo arrivo.
Io non mi permetto di darti dei consigli, ma penso che se non potessi trovare l’alloggio per cui hai telegrafato, non sarebbe poi la fine del mondo se tu andassi all’albergo fin che avessi trovato di collocarti bene.
Ti bacio quelle mani che mi attirano e mi tengono stretto.
Addio.
Tuo Verga
da Charles Baudelaire a Marie Daubrun
Signora,
E mai possibile che non debba più rivedervi ? Questo è quel che conta per me, perché sono arrivato al punto che la vostra assenza rappresenta di già un’enorme privazione per il mio cuore.
Quando sono venuto a sapere che rinunciavate a posare e che io ero la causa involontaria di tale decisione, ho avvertito una strana tristezza.
Ho voluto scrivervi, malgrado io sia poco propenso a mettere le cose per iscritto. Si finisce quasi sempre per pentirsene. Ma non arrischio nulla, giacché ho ormai preso la mia decisione di donarmi a voi per sempre.
Sapete che la nostra lunga conversazione di giovedì è stata davvero singolare ?
È questa stessa conversazione che mi ha lasciato in uno stato per me affatto nuovo e che è all’origine di questa lettera.
Un uomo che dice : “ Vi amo ! “ e che prega – e una donna che risponde: “ Amarvi ? Io ? Mai ! Uno solo ha il mio amore. Guai a quello che verrà dopo di lui ; non otterrebbe altro che la mia indifferenza e il mio disprezzo ! “.
E questo stesso uomo, per avere il piacere di guardarvi più a lungo negli occhi, lascia che voi gli parliate di un altro, che non gli parliate che di lui, che non vi infiammiate che per lui e non pensiate che a lui. Da tutte queste confessioni è emerso un fatto assai singolare, ed è che per me, voi non siete più semplicemente una donna che si desidera, ma una donna che si ama per la sua franchezza, per la sua passione, per la sua verde età e per la sua follia !…
Nel darvi queste spiegazioni ho perso molto, poiché voi siete stata cosi risoluta che ho dovuto sottomettermi all’istante; ma voi, Signora, voi ci avete guadagnato molto. Mi avete ispirato rispetto e stima profonda. Restate sempre cosi, e custoditala bene, questa passione che vi rende cosi bella e cosi felice.