Il Piccolo Principe è un caposaldo di ogni infanzia, adolescenza, vita. Senza dubbio.
Racchiude metafore che possono davvero descrivere milioni di circostanze di vita differenti.
Ci ha addomesticato a riconoscere le volpi lungo la nostra strada, a trovare l’oro del grano di ognuno di noi, a prenderci cura di una rosa quando la troviamo.
Ho riscoperto una di queste metafore pochi giorni fa, in un seminario sulla psicologia buddhista che ho seguito all’università. Ho ascoltato, da curiosa profana, storie di giardini interiori, della nostra coscienza come un terreno fertile, in cui nascono semi buoni e semi cattivi. La consapevolezza del presente, del vivere oggi e non ieri, oggi e non domani, sta nel saper sentire questi semi interiori, queste piante più o meno fiorite, più o meno spinose.
I semi cattivi li alimentiamo nelle nostre esperienze quotidiane. Se abbiamo il seme della rabbia, più ci arrabbiamo, più il rovo cresce; più il rovo cresce, più diventa difficile e doloroso estirparlo.
È qui che entra in gioco Il piccolo principe. Nel suo pianeta, con la sua rosa e il timore dei baobab.
“I baobab prima di diventar grandi cominciano con l’esser piccoli”
“È esatto! Ma perché vuoi che le tue pecore mangino i piccoli baobab?”
“Be’! Si capisce”, mi rispose come se si trattasse di una cosa evidente. E mi ci volle un grande sforzo d’intelligenza per capire da solo questo problema.
Infatti sul pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, le erbe buone e quelle cattive. Di conseguenza: dei buoni semi di erbe buone e dei cattivi semi di erbe cattive. Ma i semi sono invisibili. Dormono nel segreto della terra fino a che all’uno o all’altro pigli la fantasia di risvegliarsi. Allora si stira, e sospinge da principio timidamente verso il sole un bellissimo ramoscello inoffensivo. Se si tratta di un ramoscello di ravanello o di rosaio, si può lasciarlo spuntare come vuole. Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si è riconosciuta. C’erano dei terribili semi sul pianeta del piccolo principe: erano semi di baobab. Il suolo ne era infestato. Ora, un baobab, se si arriva troppo tardi non si riesce più a sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue radici. E se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare.”
Oggi ho quasi 25 anni e sono certa che nel mio giardino ci sia un po’ di tutto. Alcuni baobab sono cresciuti e, nel tempo, sono riuscita anche ad estirparne qualcuno. La forza l’ho trovata nelle tante e belle rose che sono riuscite a crescere in quel terreno che, per un momento, sembrava esser diventato arido e secco. Ho tirato i rami dei baobab, con la fatica delle mie piccole braccia e con la speranza di avere qualcuno dietro a raccogliermi. E così è stato. Le radici sono venute vie, io sono precipitata all’indietro, ho chiuso gli occhi in attesa dello schianto, ma sono stata abbracciata, con amore e sicurezza, da persone-volpi. Oggi, in quei punti, ci sono ancora dei solchi, un po’ doloranti. La terra è sconvolta e confusa, ma è profondamente e dolcemente libera.
Dunque.. guardo un attimo dietro di me e il riscaldamento è acceso (e alto). Guardo alla mia sinistra, e la finestra è chiusa. Così come sono chiuse le due porte, sulla mia destra. Non capisco a cosa devo il brivido che mi ha percorso arrivando alle ultime 3 righe. Ah già, scemo: probabile che sia dovuto alle ultime 3 righe. E a ogni singola parola che le precedeva.
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