Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

Filosofo e Poeta, Fernando Pessoa non poteva che essere uno degli scrittura che più mi rimane impresso nei suoi scritti.

Il “Libro dell’inquietudine” è una raccolta di tutte le riflessioni dell’alterego dell’autore: Bernando Soares.

E’ un viaggio che il protagonista fa parlando d’amore, di vita, di morte, assaporando il sapore delle emozioni vissute, anche quelle più lontane. Parla del suo dolore con un incredibile potere comunicativo, riesce a far sentire esattamente ciò che egli prova o ha provato.

Un protagonista silenzioso ma profondo, che non riesce a staccarsi dal grigiore della vita e cerca continuamente una soluzione alla sua mancanza d’equilibrio.

Un libro profondo, per animi sensibili, a volte può risultare lento ma poi saranno moltissime le parti che sottolineerete e scriverete nel vostro diario.

il libro dell'inquietoudine

TRATTI DEL LIBRO:

Nostalgia! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l’angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita.

All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno.

Non so sentire, non so pensare,non so volere.

Io, proprio io,….il centro del tutto con il nulla intorno.

Penso in continuazione, sento in continuazione; ma il mio pensiero è privo di raziocinio, la mia emozione è priva di emozione.Poter saper pensare! poter saper sentire.

Il disprezzo che sembra esistere fra uomo e uomo,l’indifferenza che permette che si uccidano persone senza capire che si uccide, come fra gli assassini, o senza  pensare che si uccidono,come fra i soldati, sono dovuti al fatto che nessuno presta la dovuta attenzione alla circostanza,che sembra astrusa,che anche gli altri sono anime.

…Ma  c’è sempre il sole quando brilla il sole e la notte quando arriva la notte. C’è sempre la pena quando la pena ci duole e il sogno quando il sogno ci culla.C’è sempre quello che c’è e mai quello che dovrebbe esserci, non perchè è meglio o perchè è peggio,ma perchè è altro. C’è sempre.

Ci sono giorni nei quali ogni persona che incontro e, ancor di più, le persone abituali della mia convivenza obbligata e quotidiana, assumono aspetti di simboli e, isolati o fra loro connessi, formano un alfabeto profetico od occulto che descrive in ombre la mia vita. L’ufficio diventa per me una pagina con parole fatte di gente; la strada è un libro; le parole scambiate con i conoscenti o gli sconosciuti che incontro sono espressioni per le quali viene meno il dizionario ma non completamente la comprensione. Parlano, si esprimono; eppure non parlano di se stesse e non esprimono se stesse; sono parole, ho detto, e non indicano, lasciano solo intendere. Ma, nella mia visione crepuscolare, distinguo solo vagamente quanto queste vetrate, che si rivelano sulla superficie delle cose, lasciano trasparire dalla loro interiorità che custodiscono e rivelano. Intendo senza arrivare alla coscienza, come un cieco al quale si parli di colori.
A volte, passando per la strada, colgo brani di conversazioni intime, e si tratta quasi sempre di conversazioni sull’altra donna, sull’altro uomo, sul ragazzo di uno o sull’amante dell’altro…
Per il solo fatto di sentire queste ombre di discorso umano, che poi in fondo è tutto ciò di cui si occupa la maggioranza delle vite coscienti, porto dentro di me un tedio disgustato, l’angoscia di un esilio tra ragni e l’immediata consapevolezza della mia umiliazione fra gente reale; la condanna, nei confronti del proprietario e del luogo, di essere simile agli altri inquilini dell’agglomerato; di stare a spiare con disgusto, fra le sbarre del retrobottega, l’immondizia altrui che si ammucchia sotto la pioggia in quel cortile interno che è la mia vita

Ci  sono uomini che sono sfruttati anche da Dio: sono profeti e santi, nella vacuità di questo mondo……

…..niente merita l’amore di un’anima; e se dobbiamo dare amore per sentimentalismo,è indifferente se lo riserviamo alle piccole sembianze del calamaio o alla grande indifferenza delle stelle…..

 

Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell’amore. Nell’amore sessuale cerchiamo il nostro piacere ottenuto attraverso un corpo estraneo. Nell’amore che non è quello sessuale cerchiamo un nostro piacere ottenuto attraverso un’idea nostra. L’onanista è un essere abietto ma, in verità, è la perfetta espressione logica dell’amante. È l’unico che non finge e non si sbaglia.
I rapporti fra un’anima e l’altra, attraverso cose tanto incerte e divergenti come le parole comuni e i gesti che si intraprendono, sono materia di strana complessità. Perfino l’arte, nella quale si realizza la conoscenza di noi stessi, è una forma d’ignoranza. Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuole dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima. Oggi sono lucido come se non esistessi. Il mio pensiero è evidente come uno scheletro, senza gli stracci carnali dell’illusione di esprimere. E queste considerazioni che faccio e abbandono non sono nate da niente: o almeno da nessuna cosa per lo meno che sieda nella platea della mia coscienza. Forse la delusione che il nostro commesso ha avuto con la sua ragazza, forse una frase letta nelle vicende di cuore che i nostri giornali copiano dalla stampa straniera, forse perfino una vaga nausea che porto con me e che non ho espulso fisicamente.

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